sabato 16 luglio 2016

Come si recita il Daimoku, o Nam Myo Ho Renghe Kyo





Il daimoku , ovverosia il Nam myo ho renghe kyo, andrebbe recitato vocalmente. La velocità dipende dalla persona, ma in linea di massima possiamo dire che recitare velocemente dà maggiore carica vitale, recitarlo lentamente rilassa ed equilibra. 




Il daimoku è un mantra, e consiste quindi nell'emettere un suono; è la vibrazione sonora che produce l'effetto riequilibrante sul corpo, ed è questo il motivo per cui la recitazione può essere effettuata a voce bassa o alta, ma comunque non mentalmente, salvo casi particolari e quando la persona sia dotata di particolare energia psichica.



Potete recitarlo anche con un sottofondo, come quello del video, o cantato.



Quanto recitare dipende dal tempo a disposizione. Toda disse una volta "un'ora al giorno cambia la tua vita, due ore cambiano il tuo karma, tre ore cambia la vita degli altri".

Per vedere i primi risultati consigliamo di recitare due ore al giorno per venti giorni; dododichè si potrà dare un giudizio e decidere se continuare o no.



Il daimoku può essere recitato in qualsiasi momento, anche frazionando la recitazione in più momenti (ad esempio mezz'ora al mattino, mezz'ora il pomeriggio, mezz'ora la sera).

Può essere recitato guidando l'auto, lavando i piatti o facendo qualsiasi altra attività.

Molti sono contrari a questa impostazione, e vi diranno che è meglio recitarlo in concentrazione e facendo solo questo. Di per sè questa visione non è sbagliata; ma in mancanza di tempo, e piuttosto che non farlo per niente, va bene recitarlo in qualsiasi condizioni.

Basti pensare che lo stesso presidente Ikeda, nel suo libro La Nuova rivoluzione umana (vol. 2 pag 209, ma anche in molte altre occasioni) afferma spesso di recitare in auto o in aereo, o in camminando per strada, insomma, in qualsiasi condizione possibile secondo le necessità del momento.



Anche se il daimoku non è una preghiera, il paragone con la preghiera può essere calzante: per rivolgersi al divino ci si può recare in un tempio o una chiesa, ma non è vietato, anzi sarebbe consigliato, farlo in ogni momento della giornata anche (o soprattutto?) quando facciamo la spesa o siamo in fila con l'auto nel traffico.



Il daimoku è, per l'esattezza, un mantra (v. Il Budda nello specchio, ed Esperia, pag. 30), ma tra le migliaia di mantra esistenti della tradizioni induista e buddista è uno dei più potenti ed efficaci, anche (ma non solo) per il suo significato a carattere universale e adatto a chiunque, per qualsiasi situazione (mentre alcuni mantra hanno significati ed effetti che potremmo definire specifici).




-- Gongyo e daimoku sono le radici che fanno crescere un grande albero. Recitando entrambi, un giorno dopo l'altro, l'alberro si rafforza e cresce. Anche se non sarà possibile vedere cambiamenti da un giorno all'altro, l'albero si rafforza e cresce e col tempo vedremo crescere un grande albero e otterremo una felicità indistruttibile e la nostra vita godrà di immensa fortuna (D. Ikeda, I capitoli Hoben e Juryo, .pag. 10-11-12) e l'intero universo risponderà coprendovi di fortuna.



-- Il buddismo serve per risolvere problemi, per vivere un'esistenza piena e soddisfacente, qui e adesso. E serve anche per liberarci delle corazze che ingabbiano il nostro essere quelle stesse che ci impediscono di trovare un ruolo, una dimensione, un senso alla vita (Felicità in questo mondo, ed Esperia, pag. 3).

Il buddistmo di Nichiren è un mezzo per realizzare desideri, sogni, superare i problemi e affrontare le sofferenze.



-- L'insegnamento principale del Buddismo di Nichiren, ma di tutto il buddismo Mahayana in realtà, è che ogni essere umano possiede uno stato vitale illuminato, definito Buddità, che tende verso il raggiungimento di una felicità vera, profonda e assoluta, la quale va al di là delle circostanze negative che si possono incontrare nel corso della vita. Questo stato permette di affrontare e superare le sofferenze, stimolando e rafforzando le nostre infinite capacità, che a volte restano latenti e che spesso non crediamo neanche di possedere (Felicità in questo mondo, ed Esperia, pag. 5).








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